Bettino Ricasoli Firidolfi (7 Aprile 1922 – 17 Maggio 2009), è stato il 31esimo barone di Brolio, trisnipote di Bettino Ricasoli che fu presidente del Consiglio dell’Italia unità dopo la morte di Cavour e fondatore de La Nazione. Aveva 87 anni. Negli anni ’60 e ’70 fu consigliere comunale a Firenze per il Partito liberale.

E’ stato anche uno dei primi fiorentini che hanno conosciuto l’Opus Dei, facendone poi parte.

Martedi’ 18 Maggio 2010 alle ore 19.00 nella Chiesa di San Francesco di Paola in Oltrarno (Firenze) verrà celebrata la SS. Messa di suffragio per l’anima di Bettino Ricasoli ad un anno dalla sua dipartita.

In questa pagina vogliamo ricordare la sua straordinaria figura a un anno dalla sua morte, avvenuta il 17 Maggio 2009, attraverso il video di una sua intervista  in cui ricorda del suo incontro con l’Opera e della sua diffusione in Toscana, ma lasciamo anche che chi lo ha conosciuto aggiunga un suo ricordo personale a commento di questa pagina.

Chi lo ha conosciuto scrive di lui:

12 commenti
  1. Giancarlo Polenghi
    Giancarlo Polenghi dice:

    Gentile, questa è la parola che meglio descrive Bettino Ricasoli, per come l’ho conosciuto e frequentato in questi anni.
    Il mio primo incontro con Bettino avvenne circa 25 anni fa, nella casa a Bellosguardo, quando lui e Costanza avevano invitato alcuni loro amici per metterli in contatto con lʼOpus Dei. Credo fosse il mese di giugno, faceva caldo. Bettino era molto ospitale e aveva il dono di far sentire ciascuno a proprio agio. Per me quella cena fu qualcosa di inusuale – perché prima di allora non avevo frequentato famiglie nobili fiorentine -. Ero incuriosito e un po’ preoccupato di non fare troppe gaffe, ma la cortesia e la semplicità di Bettino mi aiutarono. Ricordo il suo modo di interessarsi di ciascuno e il rapporto così pieno di affetto e di ironia che aveva con Costanza (aiutato dall’ironia anche di lei). Quella prima cena fu lʼoccasione per conoscere altre persone che poi mi sono diventate molto care come Cosimo e Ginolo. Sapevo che lui e sua moglie avevano devozione per San Josemaria Escrivà e che di tanto in tanto si rivolgevano a lui in francese. Un particolare curioso quello del francese, perché i primi scritti che avevano letto – come Cammino – erano in francese, avuti da Ilaria.
    Alcuni mesi dopo, penso in ottobre, portammo a Bettino delle immaginette di San Josemaria (che ancora non era stato proclamato santo) perché lui voleva diffonderle per incoraggiare amici e conoscenti nella preghiera per la salute di un suo caro amico, Lapo, che poi recuperò molto bene.
    Diversi anni dopo accompagnai Bettino ad Urio, in macchina. Facemmo il viaggio da soli sulla mia Golf, sia allʼandata che al ritorno. Chiacchierammo amabilmente, pregammo – ascoltando dei brani della Sacra Scrittura incisi in inglese che avevo in auto -e a tratti siamo stati in silenzio. Bettino è una di quelle persone con cui si può stare in silenzio in modo piacevole, senza sentire lʼurgenza di riempire i vuoti. In quella e in altre occasioni avvertii lʼaffetto particolare che Bettino aveva per Francesco suo figlio. Sapevo che a volte cʼerano state delle incomprensioni tra i due, ma Bettino pregava molto per suo figlio: non credo che me lo disse mai, ma si vedeva da come si comportava.
    Lʼultimo incontro è stato il giorno prima che morisse, nella sua camera. Come la prima volta che lo vidi, era con me Giorgio. Mi commossi molto vedendolo sofferente e magrissimo nel letto, ma feci del mio meglio per non farmene accorgere. Bettino pregava molto in quei momenti, era molto paziente e faceva di tutto per non essere servito. Due giorni dopo mi ritrovai nella stessa stanza davanti al suo corpo ormai senza vita, a recitare il rosario: una preghiera che era per Bettino, ma anche a Bettino, che dal cielo ci avrebbe aiutato tutti, e di ringraziamento a Dio e alla Madonna per avermelo fatto conoscere, con tutte le sue qualità e la sua gentilezza.

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  2. Ginolo Ginori Conti
    Ginolo Ginori Conti dice:

    Figli di genitori amici da generazioni e nel passato anche legati da matrimoni, Bettino ed io ci conoscevamo da sempre e, pur divisi da alcuni anni (Bettino aveva 9 anni più di me) ci siamo sempre trovati bene insieme. Questa amicizia è diventata affetto in occasione dei viaggi che annualmente facevamo per andare alle nostre settimane di studio ad Urio, Castelromano od Ovindoli, viaggi nei quali le ore in macchina e nei giorni passati in compagnia ci permettevano lunghe chiacchierate e confidenze. Di Bettino mi ha sempre impressionato lo stato di calma, serenità e buon umore, a volte così prettamente toscano, che lo rendevano sempre sorridente nonostante i drammi famigliari che hanno costellato la sua esistenza. Era palese nel suo modo di vivere la sua biblica certezza “Se Dio è con me chi e cosa è contro di me?” Chiacchierando con lui pochi giorni prima della sua scomparsa, Bettino mi aveva confidato di essere afflitto da un carattere irascibile e potenzialmente violento, che doveva costantemente tenere a freno. Devo dire che c’era sempre riuscito talmente bene che la sua affermazione mi ha lasciato di stucco. Il ricordo che conservo di lui sta quindi nel suo sorriso gentile, affabile e, a volte, tollerante: il sorriso di un uomo buono e nobile d’animo oltre che di censo. Un ricordo che, pur nella tristezza della sua scomparsa, è sereno come sono certo lui avrebbe voluto.

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  3. Rolando Silvestri
    Rolando Silvestri dice:

    A Bettino a un anno dal dies natalis, sei stato in vita un amico carissimo e un modello di virtù… da imitare!
    Le sofferenze della tua lunga malattia come semina apostolica per le tante vocazioni attese…
    Ricordo il tuo sorriso e la tua serenità che sempre mi coglievano quando ti incontravo. Dal cielo continueranno la tua amicizia e le tue attenzioni.
    Più che mai Bettino sei presente!
    Grazie…Signore!
    Evviva!

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  4. Cosimo di Fazio
    Cosimo di Fazio dice:

    Potrei raccontare molti miei ricordi di Bettino fra il 1994 e il 2007, coincidenti con la mia presenza a Firenze quale direttore dell’Accademia dei Ponti.
    Sintetizzo l’essenziale. Bettino è stato, assieme a Gìnolo, una preziosissima guida per farmi comprendere la città e il modo peculiare di essere degli abitanti, superando gli stereotipi e facendomi cogliere qualità, virtù, gusto, cultura. Non a caso, un giorno un uomo di cultura fiorentino gli disse, a mo’ di battuta che, vedendo lui, vedeva mille anni di storia fiorentina.
    Bettino ha facilitato la comprensione dell’Opus Dei in città. Ne è stato come un sigillo di garanzia, la prova che l’Opera non è un corpo estraneo negli ambienti in cui si diffonde, ma una risorsa in più per alimentarne e potenziarne tutti i valori.
    Ma a parte l’insegnamento culturale, ho apprezzato in Bettino la sua fede e la visione cristiana applicata alla vita. Sapeva reagire cristianamente a tutte le difficoltà, e suppongo che di dolori ne avesse sopportato molti nel corso della vita. Posso testimoniare quanto gli stesse a cuore la conversione delle persone che conosceva e quanto insistesse nella preghiera per quella intenzione.
    Allo stesso modo, gli si illuminavano gli occhi quando gli raccontavo il bene derivato dagli incontri nel Castello di Brolio, la cui organizzazione, l’ho saputo a posteriori, gli costava non poca fatica, mai espressa esteriormente, o quando sapeva dei frutti del lavoro apostolico con i ragazzi. Pur così elegantemente riservato, nutriva una forte vibrazione apostolica, di cui mi parlava costantemente.
    E allo stesso modo, mi sembra doveroso esprimere una particolare gratitudine per il suo sostegno economico alla realizzazione della nuova Accademia dei Ponti, realizzato con tanta discrezione che neppure io immediatamente me ne accorgevo. Si deve alla sua generosità il pagamento di buona parte dell’Annunciazione robbiana che presiede l’oratorio dell’Accademia dei Ponti di Firenze.
    Concludo con un episodio di poco successivo alla sua scomparsa. Pur stabilitomi a Roma dal 2007, ho sempre conservato contatti sia pure affettivi con Firenze. Alla prima occasione, ho informato il Prelato dell’Opus Dei, Mons. Javier Echevarría, della scomparsa di Bettino, e lui subito mi ha detto che da ora eravamo noi che dovevamo rivolgerci a lui per ottenere favori, sottolineando la santità della sua vita

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  5. Giorgio Fozzati
    Giorgio Fozzati dice:

    Il mio primo ricordo risale al giugno del 1985, quando una sera fui invitato a Bellosguardo a cena con Bettino e Costanza. Era la prima volta che li incontravo e mi avvolsero in un atmosfera di affetto e di attenzione che non avevo mai provato prima. La stessa attenzione e lo stesso affetto che ho trovato poi sempre, ogni volta che li incontravo. Perchè incontrare Bettino significava incontrare Costanza: la loro unione è così bella che sono certo che non si è per nulla interrotta, ha solo cambiato le modalità.
    Il primo corso di ritiro spirituale Bettino andò a farlo insieme a Silvano Bambagioni nella casa di montagna a Pontedilegno e successe che, per l’elevato numero dei partecipanti il direttore del corso si vide costretto ad assegnare una stanza con il letto a castello per entrambi. Al rientro nessuno dei due commentò questo aspetto, riportando invece con entusiasmo i benefici spirituali che avevano ricevuto nei giorni di ritiro. Fu solo dopo alcuni mesi che, incontrando il direttore del corso di ritiro mi disse del letto a castello e così io, tra il confuso e l’imbarazzato, cercai di scusarmi per il disagio con entrambi, che però mi misero subito a tacere, scherzandoci con molto buon umore.
    La proprietà di linguaggio era un’altra caratteristica che mi colpì fin dall’inizio, abituato ad un vocabolario della nostra lingua italiana così impoverito. “Vuoi appoggiare qui il mantello?” mi diceva sorridendo aprendo la porta di casa. E io che lo chiamavo cappotto… Ho pensato alla sua orazione: quanto avrà gradito il Signore quel suo colloquio così ricco e sempre adeguato in ogni circostanza. Se penso poi ai circoli di formazione che abbiamo fatto negli ultimi mesi a casa sua, nel salotto con il camino acceso e scoppiettante, a quella gara tra tutti a prendersi quello sgabello piccolo, il meno comodo tra le poltrone e poltroncine, prima che lo facesse lui e regolarmente vinceva Bettino. Era un modo di rendere concreto lo stare all’ultimo posto, dare sempre agli altri la comodità, mettere tutti a proprio agio. E così anche a Brolio, quando preparava personalmente tutte le sedie nel salone, senza sottrarsi allo sforzo fisico, alla fatica. Per servire, servire: lo aveva ben appreso da san Josemaria questo motto così semplice ed efficace.
    Era già assopito dagli antidolorofici quando, un giorno prima di volare in Cielo, chinandomi su di lui per salutarlo, aprì gli occhi, i suoi occhi azzurri, sempre ridenti, mi guardò riconoscendomi subito, sorrise e mi disse: “prego per Giovanni, Luca e Francesco…”: erano i nomi di tre ragazzi che avevo affidato alle sue sofferenze, al tesoro della sua malattia, alla sua preghiera piena di fede. Bettino è in Cielo. Giovanni, Luca, Francesco crescono e si fortificano nella loro vita cristiana e nella vocazione

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  6. Federico Dabizzi
    Federico Dabizzi dice:

    Ho conosciuto Bettino nel 1995, al mio primo ritiro spirituale presso la Chiesa di Borgo SS Apostoli a Firenze, e lo ricordo gran signore, ossia una persona sempre disponibile e di animo veramente nobile; in lui era spontanea la riservatezza e la distinzione (mai un alterco o una sbavatura). Tutto ciò non era frutto di un atteggiamento costruito o artificiale, ma scaturiva – oltre che dalla sua educazione familiare – dal suo essere un’anima d’orazione, e per tutto ciò appariva credibile e un esempio per tutti noi, rendendo fattuale e spontaneo il suo apostolato. Insomma Bettino trasmetteva – e credo non solo a me – proprio quel “bonus odor Christi”. Mi manca molto la sua presenza silenziosa, elegante, discreta e autorevole.

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  7. Giovanni Corsini
    Giovanni Corsini dice:

    Alcuni atteggiamenti stoici e riservati di Bettino Ricasoli li riconoscevo. Probabilmente un giorno si scoprirà che alcuni cromosomi di Bettino, di mia nonna ed anche di mio padre, provengono da un antenato fachiro dei Ricasoli. Mio Padre, per prendere in giro sua madre, diceva che da noi si muore sempre e solamente di benino! Se si chiedeva a Bettino come stesse Lui rispondeva sempre: bene grazie. Se poi invece si chiedeva a qualche famigliare come stesse Bettino la risposta negli ultimi tempi era sempre: benino. Che tradotto in “normalese” significava: sta poco bene.
    Per notare in Lui un sentimento o un’emozione occorreva una certa attenzione. Bettino sempre gentile ed educato era degno del motto di casa sua “rien sans peine”. Sempre riservato ma cordiale verso tutti, senza mai imporre il proprio pensiero, Egli aveva altissimo il senso del dovere. Questo suo modo di essere e di comportarsi forse era il frutto di aver sempre praticato l’autodisciplina, l’autocontrollo, applicandovi tanta buona volontà. Non per nulla era il degno pronipote del “Barone di Ferro”. Lo ricordo un settembre di quattro anni fa, erano i giorni della vendemmia, e assieme ad altri Bettino ci portò a visitare il nuovo e modernissimo impianto per l’ammostatura dell’uva; ne era fiero, e non faceva altro che ricordare suo figlio Francesco, lodandolo. Sono quasi certo che con Francesco stesso non abbia mai usato della stessa enfasi.
    Bettino amava la terra e la sua campagna e al castello di Brolio, lungo il viale che sale dalle cantine al castello, non mi sorprenderebbe passandovi,
    vedere qualche scoiattolo scappare da qualche cosa, o di sentire io stesso fortemente la Sua presenza.

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  8. Marco Bardelli
    Marco Bardelli dice:

    Bettino, il signor Bettino.
    Non sono mai riuscito a chiamarlo Bettino se non mettevo quel signor prima del suo nome, prechè era un vero signore.
    Mi chiedete di scrivere i ricordi che mi ha lasciato; più che ricordi mi ha lasciato tutto un suo stile di vita, la sua signorilità, la sua pacatezza, il suo modo di essere tanto diverso da me forse per generazione o forse il suo, consentitemi di dirlo, la sua aria di santità che ognuno di noi cerca di raggiungere.
    I miei ricordi si intrecciano nel suo focolare di quella casa dove ci riceveva, quel suo modo di aprire la porta tanto diverso da come l’apro io. Delle volte mi sentivo anche di troppo, personaggi illustri fiorentini, principi, chi più ne vuole più ne metta.Ma guardandolo nel suo modo di essere mi ha fatto sentire parte integrante di questa Opera di Dio, nel condividere con lui quel periodo di sofferenza, nel vederlo inginocchiare e nel rialzarsi, lui persona non più giovane, ma cosi pieno di fede nella quale cercava la forza per arrivare a cio’ che giornalmente mi sforzo nell’arrivare. Mi ha insegnato tanto, mi ha lasciato veramente un ricordo che nella vita terrena credo sia la più grande eredità che un essere umano possa lasciare.
    Del Sig. Bettino Ricasoli ognuno di noi potrebbe scrivere un libro, non si puo’ scrivere un ricordo del Sig. Bettino.
    Del Sig. Bettino si scrive con il sorriso sulle labbra.La felicità che il Signore mi ha donato nel poterlo “conoscere “, mi rende felice! In suo ricordo vorrei che il mio sorriso giungesse fino a lui un modo per dirgli “Grazie Sig. Bettino”.

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  9. Fortunato Tito Arecchi
    Fortunato Tito Arecchi dice:

    Ho conosciuto Bettino attraverso il comune coinvolgimento nell’attività nascente dell’Opus Dei in Toscana, a partire dal 1985. Fin dall’inizio prese l’abitudine di organizzare ogni anno un giorno di incontro-ritiro nel Castello di Brolio. Per molti era il primo impatto con la realtà dell’Opus Dei. Venivano un po’ per curiosità, un po’ perché attirati dall’aspetto mondano dell’evento e dalla possibilità di incontri professionalmente fruttuosi, e si trovavano scaraventati nella dimensione dell’eremo, di un rendiconto personale con Dio, ma senza bisogno di traumatiche fughe nel ”deserto”, lontano dalle proprie abitudini di vita, bensì circondati da quelle cure signorili che caratterizzavano l’ospitalità di Bettino.
    Così, molti Toscani hanno conosciuto l’Opera e imparato che si può amare e servire Dio nella normalità della vita quotidiana, come facevano gli amici di Gesù quando Lo invitavano a cena. L’incontro con Dio è naturale se dà un senso alla mia storia passata e mi permette di fare il miglior uso delle mie risorse; richiede una serena disponibilità, non lo sforzo atletico di chi si debba preparare per vincere alle arti marziali. Era questo modo “normale” di vivere la grande lezione di stile che promanava da Bettino.
    Non vuol dire rendere le cose più facili e meno impegnative; di questo mi accorsi nei mesi di malattia che portarono Bettino alla morte. Andavo spesso a trovarlo, approfittando del fatto che il mio Istituto era vicino a casa sua, ed era diventata una consuetudine cara ad entrambi. Parlare di Dio in modo semplice e familiare credevo fosse un’esperienza unica di Agostino con sua madre Monica. Incontrare il Bettino negli ultimi suoi giorni mi ha dato il privilegio di sperimentare lo stesso senso delle cose che contano, scuotendosi di dosso le cose inutili.

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  10. Emiliano Tagliaferri
    Emiliano Tagliaferri dice:

    Ricordo che in un luglio dei primi anni novanta, quando lavoravo come commesso presso la Galleria Romanelli, Bettino entrò nel negozio per acquistare un presente. Scelse un soprammobile in marmo e mi fu affidato dal titolare della galleria per il suo impacchettamento. C’è da dire che non era il mio mestiere fare il commesso di negozio, ma come è noto, gli studenti universitari fanno di tutto pur di portare qualche lira a casa. Mi prodigai nel confezionamento dell’oggetto e poiché non volevo fare brutta figura, mi impegnai molto, ma il risultato finale non fu pari all’impegno profuso. Quando lo consegnai a Bettino, egli non guardò il pacchetto, ma mi fissò con i suoi occhi celesti e mi ringraziò, come se avessi fatto un’opera degna di lode. Quel gesto mi dimostrò in maniera inequivocabile la delicatezza ed il tratto umano di quell’uomo il quale avrebbe potuto comportarsi come un cliente qualunque. Grazie Bettino, ho ricevuto una lezione di stile che cerco di vivere ogni volta che mi rapporto con persone che lavorano

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  11. Carlo Costantino Carapelli
    Carlo Costantino Carapelli dice:

    A fine del primo ritiro a Brolio Bettino raccontò la storia del castello dalle origini fino alle schegge che fecero piccoli danni durante l’ultima guerra, così lascai Brolio in una atmosfera positiva. Ancora oggi dal cielo Bettino ci puo dare un po di ottimismo.

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  12. Massimo Marianeschi
    Massimo Marianeschi dice:

    Conobbi Bettino intorno al 2003 e mi colpì subito la sua gentilezza e i suoi occhi azzurri, pieni di cielo. Capii presto che era impossibile attraversare una porta dietro a Bettino: con eleganza inimitabile, ti lasciava sempre passare, senza che tu lo notassi o che ci potessi fare qualcosa.
    Ricordo l’emozione della prima convivenza al castello di Brolio e la semplicità con cui accoglieva tutti, facendoti sentire a casa in quel luogo così affascinante e pieno di storia. I suoi racconti trasudavano amore per quelle mura, ferite dalle cannonate delle guerre, che mostrava con orgoglio; ma soprattutto per le persone che lo avevano abitato per secoli. Ricordo anche lo stupendo incontro di Bettino con Rino Martinez, uno dei primi fedeli dell’Opus Dei in Italia in quel soggiorno pieno di luce. Adesso tutti e due sono al cospetto e del Padre e quante cose potranno dirsi, e quanto bene potranno fare per tutti noi e per i nostri amici…
    Ma il ricordo più bello e intimo che ho di Bettino è quando, più recentemente, dovetti tenere la mia prima conversazione in Accademia dei Ponti, durante un ritiro mensile. Bettino era seduto proprio davanti a me e mi guardò per tutto il tempo con uno sguardo attentissimo e pieno d’affetto. Finita la conversazione mi si avvicinò e mi sussurro parole di stima e di incoraggiamento con un sorriso che non potrò mai dimenticare.
    Grazie Signore per averci dato l’opportunità di incontrare Bettino.

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