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Risurrezione. Istruzioni per l’uso.

Fabrice Hadjadj ha il dono di saper scrivere con arguzia e profondità. La sua prosa è capace di far ridere o almeno sorridere, anche mentre tocca argomenti legati all’essenza stessa del cristianesimo. Nel volume “Risurrezione, istruzioni per l’uso” ciascuno dei dodici capitoli (più un’introduzione e un epilogo), sono introdotti da un brano evangelico sempre relativo alla risurrezione a cui segue un commento che mette in luce il miracolo che “non sospendendo il corso ordinario delle cose, lo fa per riaprire i nostri occhi chiusi dalla routine e svelare il dono nascosto dietro il tran tran abituale.”

L’autore dopo aver sperimentato in prima persona che cosa significa guardare e ascoltare la vita come manifestazione della presenza del Padre – e del Risorto –, si diverte a stimolare il lettore a fare altrettanto. Mentre oggi leggevo il suo libro, in una sala di aspetto di un ospedale, avevo un perenne sorriso stampato in volto. Il suo argomentare, le sue osservazioni, ricche di paradossi, e di battute, sono intuizioni che gettano una luce nuova e antica sulle pagine finali dei quattro vangeli. Il commento è molto libero e aperto e rimbalza dal testo scritturistico alla banalità del quotidiano, dai problemi del nostro vivere postmoderno, transumano e iper-tecnologico, alle questioni più delicate ed eterne.

Quest’estate, ho passato un paio di giorni con Fabrice e Siffreine, e i loro 8 figli, e stare con loro per una breve vacanza è stato interessante, perché ho potuto costatare come nel ritmo famigliare – alquanto complicato, non c’è che dire – nascono i libri di spiritualità di questo originale autore. Moises, l’ultimo nato degli Hadjadj poco prima di Pasqua, è oggetto delle premure del padre, del seno e delle cure della madre, e dell’attenzione di tutti i fratellini. Il più piccolo è al centro, e sembra che tutta la famiglia sappia vedere nel neonato qualcosa di più di un semplice neonato. L’allegra baraonda di una famiglia decisamente speciale, un po’ come quella dei “pazzerelli di Dio”, ha una forza magnetica, la stessa che si ritrova nelle pagine del libro. Il tutto potrebbe riassumersi nella bellezza e durezza del reale. C’è da farsi del male, ma si vive davvero e non ci si può mai annoiare.

Il suo intento nel libro è di mostrare “la gloria che sposa il quotidiano” e in questo senso si può dire che la sua è una spiritualità materializzata, che cerca Dio tra le pentole, come faceva santa Teresa d’Avila o san Josemaria Escrivà. In questo senso Fabrice scrive di fede e di risurrezione perché è ciò che cerca e vive (o almeno si sforza di vivere) in una quotidiana battaglia di sopravvivenza.

La sua riflessione è molto umana e coglie per questo il divino dell’umano. La prossimità e il riconoscere Dio nell’altro, senza dimenticare la digestione, l’ordine della casa, il denaro come eterna tentazione di virtualità – opposta alla realtà -, solo per elencare alcuni dei temi. Un libro che si legge di fiato. Denso, stimolante, profondo e leggero. Molto francese, e molto coerente. Come l’autore, o meglio gli autori.

Fabrice Hadjadj.

Risurrezione. Istruzioni per l’uso.

Edizioni Ares 2017, 176 pagine, 15 euro

Dentro e oltre Ljuba

Paola Bonazzi. La valigia. Dentro e oltre il giardino dei ciliegi

Firenze Leonardo edizioni, 2017. 15 euro

La struttura del romanzo è semplice e sorprendente. È un racconto nel tempo senza tempo –quello del teatro -,  con i diari di due donne al presente (imperfetto), nel passato (piuccheperfetto) e nel futuro (quasiperfetto).

Anche lo spazio è fondamentale: andare dentro per muoversi oltre. Un’attrice di oggi “entra” nel personaggio di Ljuba, la protagonista de Il Giardino dei Ciliegi, di Chekhov, e da lì compie un viaggio che la conduce a trasformarsi, leggendo sé stessa attraverso il sentire del suo personaggio. In un’atmosfera da fine di un’epoca (così simile ai nostri giorni), tutto diventa occasione per soffermarsi sui temi più profondi della vita: l’amore, il rapporto con il padre, e con gli altri uomini della sua vita, la figlia, la casa, la morte, le persone care, ciò che si è irrimediabilmente perso, e le piccole gioie di una mesta e triste quotidianità.

Questo “ragionare tra sé” più che un’analisi introspettiva è un prender nota del vissuto quotidiano, con immediatezza e rapidità come se si disegnasse uno schizzo o dipingesse un acquarello. Questa è forse la caratteristica più distintiva del libro, avere un tono che non si dà importanza, registrare la vita e i pensieri con leggerezza, in un attimo, eppure con pazienza e amore.

Il diario dell’attrice, scritto in prima persona, riporta il suo lavoro, personalissimo, di diventare un’altra, fino a che la mutazione, di fronte ad un paesaggio che fa da transfer, è compiuta. A questo punto comincia un altro diario, quello di Ljuba, che dopo i fatti raccontati da Chekhov nella sua commedia, si trova a Parigi a fine ottocento, come in esilio, a fare i conti con sé stessa. Le due donne, l’attrice e il personaggio, vivono una sorta di simbiosi, una ha dato vita all’altra, ma anche viceversa, nel senso che se l’attrice permette a Ljuba di parlare, quest’ultima spinge la prima a riflettere e a guardarsi allo specchio.

Il romanzo breve di Paola Bonazzi si legge volentieri e aiuta a pensare con leggerezza, perché mette in luce ciò che si può fare con un classico della letteratura: trarne infiniti spunti, interrogarlo e metterlo a confronto con l’oggi. Un piccolo romanzo, che si legge in poche ore, ma che con forza trasporta il lettore in mondi lontani e vicini insieme. Un libro semplice, che molto regala.