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Mettere a fuoco i “fondamentali”

(di Giancarlo Polenghi)

 

Nel XX secolo la Russia ha prodotto un notevole pensiero che si definisce abitualmente di filosofia religiosa (Berdjaev, Bulgakov, Evdokimov, Losskij). All’origine di questa stagione feconda c’è l’opera di Vladimir Solov’ev. Secondo Hans Urs von Balthasar il lavoro di Solov’ev costituisce “la creazione speculativa più universale dell’epoca moderna … incontestabilmente la più profonda giustificazione e la più vasta filosofia di tutto il cristianesimo dei tempi nuovi”.

Lo spirito russo sembra essere particolarmente incline alle sintesi, alle visioni organiche e questo è ciò che si è andato sempre più perdendo in Occidente, dove la logica razionalistica ha sempre più stimolato l’autonomia delle scienze e una conseguente frammentazione del sapere.

Il libro I fondamenti spirituali della vita, Lipa 1988 raccoglie due brevi saggi di Solov’ev scritti rispettivamente nel 1882, il primo, e nel 1884, il secondo. Il volume è, a mio avviso, di utile lettura anche per chi non abbia interesse per la filosofia religiosa, ma che sia più sensibile ad un testo di natura spirituale, di aiuto alla preghiera, e alla riflessione cristiana.

Il primo saggio illustra i tre atteggiamenti fondamentali formulati dal libro di Tobia (12,8) ossia la preghiera, l’elemosina e il digiuno. In particolare la parte della preghiera è un commento di grande respiro e acume al Padre Nostro. Giusto per dare qualche cenno, nel testo si sottolinea l’importanza di pronunciare le prime tre invocazioni (sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà) con la consapevolezza che in noi esse dovrebbero avverarsi – per questo si chiede aiuto a Dio – , perché per Dio esse sono già adempiute e nessuno può opporvisi. Oppure l’osservazione che la richiesta del “dacci oggi il nostro pane quotidiano” risponde a un chiedere giorno per giorno, senza pretendere di avere ciò che serve per un tempo prolungato o di una garanzia per sempre, tipica dell’ansia di chi si preoccupa troppo per sé e poco del regno di Dio.

Tra le frasi che rimangono a mio avviso memorabili, “Non credere nel bene è la morte morale, ma credere se stessi come fonte del bene è follia”. “Il primo atto della fede, nella quale Dio agisce insieme con l’uomo, è la preghiera.” “Chi non prega Dio, non aiuta gli uomini e non corregge con l’astinenza la sua natura, è estraneo a qualunque religione … Questi tre fondamentali atti della religione sono così strettamente legati tra di loro che l’uno senza l’altro non ha nessuna forza.”

Il secondo saggio è pure strutturato in tre parti: il Cristianesimo (presentato attraverso un commento del prologo del vangelo di San Giovanni apostolo); la Chiesa e, per finire, lo Stato e la Società cristiani.

Di grande forza ed efficacia il capitolo sulla Chiesa che meriterebbe di essere letto e riletto con i suoi riferimenti alla comunione, con la divinoumanità di Cristo, e tra gli uomini, membra del corpo mistico. Illuminante anche l’ultimo capitolo in cui si afferma, tra le altre cose, che “tra la persona e la società esiste una reciproca dipendenza” e che per questa ragione “per rigenerare l’umanità, il cristianesimo deve penetrare non solo i suoi elementi personali, ma anche quelli sociali”.

Vladimir Solov’ev

I fondamenti spirituali della vita, Lipa 1988

Conoscere nella relazione: l’artista è profeta di bellezza

(di Giancarlo Polenghi)

Ciò che mi ha spinto alla lettura del libro di Michelina Tenace (La bellezza, unità spirituale, Lipa 1994, 20 euro) è stato, in un primo momento, il titolo, che annunciava il tema della bellezza e dell’arte in chiave comunionale. Un tema che non sospettavo sarebbe stato svolto con taglio monografico presentando e indagando il pensiero estetico di Vladimir Sergeevič Solov’ëv. 

Non avendo dimestichezza con questo originale pensatore russo di fine Ottocento, ma avendolo sentito citare spesso sia dal teologo artista Marko Ivan Rupnik, che dal suo maestro Spidlik, la curiosità è aumentata nel corso della lettura.

Il lavoro di analisi dell’estetica di Solov’ëv della Tenace è prezioso perché calandolo nel peculiare contesto culturale dal quale è sorto, mettendo in luce il significato preciso di alcuni termini ambigui, coglie e “traduce”, per il lettore occidentale, l’originalità e la forza di un pensiero che unisce, al massimo livello, la fede cristiana, l’arte, e la redenzione del mondo.

Senza la pretesa di alcuna sistematicità, per la quale rimando ovviamente alla lettura libro, elenco di seguito alcuni dei concetti che maggiormente mi hanno colpito. 

La conoscenza per Solov’ëv non tocca solo la ragione perché necessita anche dell’intuizione, della visione e soprattutto della relazione. Egli afferma che tutte le facoltà dell’uomo (pensiero, sentimento, visione estetica, l’amore del cuore, la coscienza e il desiderio disinteressato di trovare la verità) devono unirsi per trovare ciò che è degno di essere chiamato verità. Quindi bisogna cercare “costantemente nel fondo della propria anima la radice interiore della comprensione, dove tutte le facoltà separate si riuniscono nella totalità viva di una visione spirituale”. Per questo, al di fuori dell’amore la conoscenza è impossibile, perché solo l’amore unisce il soggetto che conosce con l’oggetto conosciuto. Questo approccio, fa notare la Tenace, non squalifica le ragioni del razionalismo e dell’oggettività, ma le integra in una visione più equilibrata. A Solov’ëv, che entra in polemica con i positivisti del suo tempo, interessa una conoscenza che sia legata alla vita, e quindi critica la conoscenza astratta che sia esclusivamente teorica. L’ideale che lo anima è l’unione delle scienze positive con la religione e la filosofia. Insomma a lui interessa restaurare “l’unità interiore” per vivere la sapienza, e, in questa ricerca, la bellezza avrà un luogo centralissimo. 

Il primo passo sarà di unire la conoscenza corporale, psichica e spirituale. Ma a questa unità si dovrà aggiungere anche quella tra le storie individuali e quelle collettive, della storia e delle nazioni, per finire con una visione escatologica omnicomprensiva. 

La creatività per Solov’ëv ha due fondamenti, quello soggettivo del sentimento e quello oggettivo della bellezza. Per lui la forma perfetta della bellezza, e dell’arte, è la mistica (intesa come relazione tra creatura e Creatore) perché unisce la vita personale, anche sensibile, con la grazia di Dio che trasforma e divinizza.  La bellezza nella natura, dalla quale il nostro autore parte, ci permette di capire meglio: in essa la luce funziona come la grazia, e la materia come la vita umana. Il diamante è bello (materia illuminata) perché la materia colpita dalla luce rifulge e trasfigura, così nella vita dei veri artisti (luce incarnata), la vita divina trasforma quella umana, e anche nelle loro opere essa trasforma la materia salvandola e portandola al suo compimento.  Allora l’uomo, nell’arte, continua l’opera di incarnazione dell’idea cominciata nella natura da Dio e la porta al suo destino ultimo. La liturgia logicamente, e coerentemente con questa visione, diventa il luogo dell’arte per eccellenza. 

Solov’ëv critica due posizioni opposte dell’estetica moderna, l’arte per l’arte – ossia l’arte che non ha legame con nulla – che a suo avviso diventa un “puro gioco”, e l’arte utilitarista, che pure si accontenta di poco (funzioni d’uso, decorazione) perché a suo avviso l’arte è sì utile ma al massimo livello, ovvero per redimere il mondo. Infatti, per lui, l’arte e la religione appartengono allo steso livello di profondità. Per questo l’artista è un profeta ispirato che con il suo lavoro rivela il significato delle cose, le trasforma e le riporta a Dio.  

Michelina Tenace

La bellezza, unità spirituale

Lipa 1994