La bellezza unità spirituale

Conoscere nella relazione: l’artista è profeta di bellezza

(di Giancarlo Polenghi)

Ciò che mi ha spinto alla lettura del libro di Michelina Tenace (La bellezza, unità spirituale, Lipa 1994, 20 euro) è stato, in un primo momento, il titolo, che annunciava il tema della bellezza e dell’arte in chiave comunionale. Un tema che non sospettavo sarebbe stato svolto con taglio monografico presentando e indagando il pensiero estetico di Vladimir Sergeevič Solov’ëv. 

Non avendo dimestichezza con questo originale pensatore russo di fine Ottocento, ma avendolo sentito citare spesso sia dal teologo artista Marko Ivan Rupnik, che dal suo maestro Spidlik, la curiosità è aumentata nel corso della lettura.

Il lavoro di analisi dell’estetica di Solov’ëv della Tenace è prezioso perché calandolo nel peculiare contesto culturale dal quale è sorto, mettendo in luce il significato preciso di alcuni termini ambigui, coglie e “traduce”, per il lettore occidentale, l’originalità e la forza di un pensiero che unisce, al massimo livello, la fede cristiana, l’arte, e la redenzione del mondo.

Senza la pretesa di alcuna sistematicità, per la quale rimando ovviamente alla lettura libro, elenco di seguito alcuni dei concetti che maggiormente mi hanno colpito. 

La conoscenza per Solov’ëv non tocca solo la ragione perché necessita anche dell’intuizione, della visione e soprattutto della relazione. Egli afferma che tutte le facoltà dell’uomo (pensiero, sentimento, visione estetica, l’amore del cuore, la coscienza e il desiderio disinteressato di trovare la verità) devono unirsi per trovare ciò che è degno di essere chiamato verità. Quindi bisogna cercare “costantemente nel fondo della propria anima la radice interiore della comprensione, dove tutte le facoltà separate si riuniscono nella totalità viva di una visione spirituale”. Per questo, al di fuori dell’amore la conoscenza è impossibile, perché solo l’amore unisce il soggetto che conosce con l’oggetto conosciuto. Questo approccio, fa notare la Tenace, non squalifica le ragioni del razionalismo e dell’oggettività, ma le integra in una visione più equilibrata. A Solov’ëv, che entra in polemica con i positivisti del suo tempo, interessa una conoscenza che sia legata alla vita, e quindi critica la conoscenza astratta che sia esclusivamente teorica. L’ideale che lo anima è l’unione delle scienze positive con la religione e la filosofia. Insomma a lui interessa restaurare “l’unità interiore” per vivere la sapienza, e, in questa ricerca, la bellezza avrà un luogo centralissimo. 

Il primo passo sarà di unire la conoscenza corporale, psichica e spirituale. Ma a questa unità si dovrà aggiungere anche quella tra le storie individuali e quelle collettive, della storia e delle nazioni, per finire con una visione escatologica omnicomprensiva. 

La creatività per Solov’ëv ha due fondamenti, quello soggettivo del sentimento e quello oggettivo della bellezza. Per lui la forma perfetta della bellezza, e dell’arte, è la mistica (intesa come relazione tra creatura e Creatore) perché unisce la vita personale, anche sensibile, con la grazia di Dio che trasforma e divinizza.  La bellezza nella natura, dalla quale il nostro autore parte, ci permette di capire meglio: in essa la luce funziona come la grazia, e la materia come la vita umana. Il diamante è bello (materia illuminata) perché la materia colpita dalla luce rifulge e trasfigura, così nella vita dei veri artisti (luce incarnata), la vita divina trasforma quella umana, e anche nelle loro opere essa trasforma la materia salvandola e portandola al suo compimento.  Allora l’uomo, nell’arte, continua l’opera di incarnazione dell’idea cominciata nella natura da Dio e la porta al suo destino ultimo. La liturgia logicamente, e coerentemente con questa visione, diventa il luogo dell’arte per eccellenza. 

Solov’ëv critica due posizioni opposte dell’estetica moderna, l’arte per l’arte – ossia l’arte che non ha legame con nulla – che a suo avviso diventa un “puro gioco”, e l’arte utilitarista, che pure si accontenta di poco (funzioni d’uso, decorazione) perché a suo avviso l’arte è sì utile ma al massimo livello, ovvero per redimere il mondo. Infatti, per lui, l’arte e la religione appartengono allo steso livello di profondità. Per questo l’artista è un profeta ispirato che con il suo lavoro rivela il significato delle cose, le trasforma e le riporta a Dio.  

Michelina Tenace

La bellezza, unità spirituale

Lipa 1994