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Papa Francesco e San Josemaria, missione comune.

di  Giancarlo Polenghi

Papa Francesco ha uno stile comunicativo semplice e immediato. E il suo modo di porgere il mistero cristiano può spiazzare. Angelo Scola una volta ha dichiarato che papa Francesco è come un salutare pugno nello stomaco, facendo riferimento ai temi reiterati e ai richiami diretti, soprattutto verso gli “uomini di chiesa”.

Ci sono parole che a papa Francesco non piacciono, per esempio proselitismo, e altre che piacciono molto, come attrazione, o che lui stesso ha confezionato, come chiesa in uscita o ospedale da campo. Certamente per chi voglia comprendere meglio il magistero dell’attuale pontefice il documento da leggere e rileggere è la Evangelii Gaudium. Ma specificamente sul tema della missione della Chiesa è uscito di recente un libro intervista breve e prezioso, che contribuisce a sciogliere eventuali incomprensioni. Si intitola Senza di lui non possiamo fare nulla, essere missionari oggi nel mondo (una conversazione di Papa Francesco con Gianni Valente), Libreria Editrice Vaticana, 2019, 10 euro.

 Un libro che si legge in meno di un paio d’ore e che mette in luce benissimo il pensiero di papa Francesco. Per lui il proselitismo (termine che san Josemaria usava in un’altra accezione) è un’attività troppo umana perché in essa si mescola il messaggio evangelico con la strategia di persuasione, con l’attivismo, con la voglia di convincere. Si tratta di un male antico che la chiesa (o parte di essa) ha patito e patisce. Il problema non è tanto quello di utilizzare o meno ricorsi retorici, tecniche di comunicazione, ma piuttosto il movente che sta alla base di tutto e dal quale dipende anche la forma, quel semplice “dare ragione” agli altri della propria speranza, soprattutto con l’esempio, di cui parla la lettera di San Pietro apostolo. La premessa da cui parte papa Francesco è “senza di lui non possiamo fare nulla”, perché è Cristo che agisce, che converte, che avvicina, che attira. Addirittura Cristo stesso afferma che Lui, senza il Padre, non potrebbe fare nulla. È lo Spirito Santo che provoca conversioni, che chiama e vivifica. Queste sono verità profonde che tutti i santi hanno percepito, e che dovremmo sempre ricordare e vivere, ma che si tende a dare per scontate. Ecco perché allora il verbo da usare è attrarre, e chi attrae è Cristo.

San Josemaria Escrivà la pensava allo stesso modo di papa Francesco quando paragonava l’eucarestia (o il tabernacolo) alla calamita che attira e da cui farsi attrarre, o quando diceva che l’apostolato è il traboccare della vita interiore, ossia del rapporto con Cristo, che con naturalezza – senza affettazione – è presente in qualunque cosa si faccia e che altri possono percepire. Papa Francesco nell’intervista richiama anche il passo del vangelo di Giovanni: “quando sarò innalzato da terra attrarrò tutto a me” parlando della croce e della forza attrattiva, potente e paradossale di Cristo. E questa stessa frase del vangelo era particolarmente cara a san Josemaria, che l’aveva sentita risuonare forte dentro di sé. Altro punto di totale sintonia tra i due è che per avvertire l’urgenza della missione basta il battesimo, non ci vogliono particolari mandati della gerarchia. Papa Francesco dice chiaramente che l’espressione “laici impegnati” non lo convince, proprio come pensava san Josemaria. E ancora “prima l’incontro, poi le parole” ossia la necessità per l’apostolo moderno di stare assieme ai suoi colleghi e vicini, ai suoi amici, lo stare, la relazione, che precede il parlare, un parlare che diventa confidenza intima tra persone che si vogliono bene. Infine gli ultimi due capitoli del libro intervista si intitolano “da persona a persona” e “no ai neocolonialismo clericali”, concetti che, ancora una volta, mettono papa Francesco e san Josemaria Escrivà sulla stessa barca, e, mi pare proprio, con la stessa sensibilità e franchezza.

 

Papa Francesco

Senza di lui non possiamo fare nulla.

Essere missionari oggi nel mondo (una conversazione con Gianni Valente)

Libreria Editrice Vaticana, 2019, 10 euro.

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