per notre dame de paris

per Notre Dame de Paris

(di Giancarlo Polengi)

Nelle primissime pagine del più celebre romanzo di Victor Hugo, si legge:

Il vecchio Palazzo sarebbe ancora in piedi con la sua vecchia sala grande, e io potrei dire al lettore di andarsela a vedere. Saremmo così esonerati entrambi, io dal tracciarne e lui dal leggerne una descrizione così e così. Il che sta a dimostrare questa nuova verità: che i grandi eventi hanno imprevedibili conseguenze. (…)

Fu certo un triste gioco

che madonna Giustizia un dì il palato

si mettesse, a Parigi, tutto in fuoco

per aver troppe spezie ingurgitato.

Checché si pensi di questa triplice versione politica, fisica, poetica dell’incendio del palazzo di Giustizia del 1618, il fatto disgraziatamente indiscutibile è l’incendio stesso.

Il riferimento è a un altro incendio, antico, e di un edificio civile, ma le parole non potrebbero essere più appropriate per evocare ciò che tutti abbiamo negli occhi dalla settimana prima della Pasqua del 2019.

Ecco quindi che il “consiglio per la lettura” si orienta stavolta su un romanzo giustamente considerato un classico, e non solo per la letteratura francese. Notre Dame de Paris è un libro che anche oggi trasmette moltissimo. I suoi personaggi, Pierre Gringoire, Quasimodo, Esmeralda, Claude Frollo, così fortemente simbolici, reali e poetici insieme, sono di spunto per molte riflessioni. Il gobbo, Quasimodo, per il quale non è possibile non sentire compassione e vicinanza è un capolavoro di umanità. Eppoi c’è Notre Dame: La chiesa di Notre Dame di Parigi è ancor oggi indubbiamente un maestoso e sublime edificio. Per bella, però, che si sia serbata invecchiando, è difficile non sospirare, non indignarsi di fronte alle innumerevoli mutilazioni che il tempo e gli uomini hanno simultaneamente fatto subire al venerabile monumento (…). Sul volto di questa vecchia regina delle nostre cattedrali, accanto a una ruga si scorge sempre una cicatrice. Tempus edax, homo edacior (il tempo è vorace, l’uomo lo è ancor di più), che io tradurrei volentieri così: il tempo è cieco, l’uomo è stupido.

Anni fa mi capitò, con una compagnia teatrale di amatori, di ritrovarmi nei panni di Quasimodo e a quel momento risale la mia prima lettura del capolavoro di Victor Hugo. In quel momento lessi l’intera vicenda dal punto di vista del gobbo, guercio, zoppo e sordo. In particolare la sordità mi fece capire ancor meglio il fascino delle campane, ossia di quei fantastici dispositivi che invece di suonare in casa per annunciare l’arrivo dell’ospite, suonano a distesa all’esterno per significare che il padrone di casa invita tutti a trovarlo nella sua splendida dimora. Insomma una sorta di campanello al contrario che funziona verso il fuori invece che verso il dentro. In questi giorni, dopo il tragico incendio, ho ripreso in mano il libro e, debbo riconoscere, ne gioisco ad ogni pagina passando facilmente dal sorriso al pianto, dal divertimento alla riflessione.

E per finire un’altra citazione dal libro:

“Tutti gli occhi si erano alzati verso la cima della chiesa. Ciò che vedevano era straordinario. Sulla sommità della galleria più alta, ancora più su del rosone centrale, c’era una grande fiamma che saliva fra i due campanili con turbini di scintille, una grande fiamma disordinata e furiosa, di cui il vento ogni tanto si portava via un lembo nel fumo. 

Al di sotto di questa fiamma, al di sotto della cupa balaustra a trifogli di brace, due doccioni come fauci di mostri vomitavano senza posa quella pioggia ardente che si stagliava con la sua colata argentea sulle tenebre della facciata inferiore. A mano a mano che si avvicinavano al suolo, i due getti di piombo liquido si allargavano a fascio come l’acqua che zampilla dai mille fori dell’annaffiatoio. Sopra la fiamma, le enormi torri, di ciascuna delle quali si vedevano due facce crude e stagliate, una tutta nera, l’altra tutta rossa, sembravano ancora più grandi di tutta l’immensità dell’ombra che proiettavano fino al cielo. Le innumerevoli sculture di diavoli e draghi prendevano un aspetto lugubre. Il chiarore vacillante della fiamma le facevano muovere. C’erano biscioni che sembravano ridere, figure animali che pareva di udir guaire, salamandre che soffiavano nel fuoco, tarasques che starnutivano nel fumo. E fra quei mostri risvegliati così nel loro sonno di pietra da quella fiamma, da quel rumore, ce n’era uno che camminava e che di tanto in tanto si vedeva passare dinanzi al rogo ardente, come un pipistrello davanti a una candela.”

Victor Hugo

Notre Dame de Paris

BUR 2007