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Il disagio del tempo moderno

di Giancarlo Polenghi

 

Quanti sono i libri che una volta finiti si sente il forte desiderio di farli conoscere ad altri? I libri che per la loro forza e chiarezza si pensa che rimarranno a lungo nella memoria? Per esperienza personale – totalmente soggettiva – posso dire che sono meno di uno su venti-trenta (quindi meno del 3-4%). A me capita di leggere circa un libro a settimana, a volte due, (quindi un centinaio di libri in due anni) e lo faccio seguendo filoni precisi, ossia con una strategia che, dal punto di vista culturale, professionale o di svago, tende a minimizzare letture che possa poi giudicare “inutili”. Credo che questo è ciò che faccia qualunque lettore.

Bene, dopo aver fatto questa premessa, con una certa soddisfazione, mi appresto a presentarvi il libro che più mi ha convinto nell’ultimo biennio di letture. Si tratta di un saggio di sociologia che, con argomenti convincenti, spiega il disagio del tempo in cui viviamo. Un disagio, che prende la forma dell’oppressione, e che, come una mano invisibile – e perciò ancora più temibile –, rende la vita affannata, di corsa, priva di tempi e spazi per ciò che davvero ci interessa.

L’autore è il sociologo tedesco, 55enne, Hartmut Rosa, il titolo del libro è: “Accelerazione e alienazione, per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi 2015”.

La sua intuizione è tutta contenuta nel titolo: l’accelerazione della vita moderna (lui la chiama tarda modernità) è la causa del malessere personale e sociale dell’Occidente, tecnicamente denominata alienazione.

Secondo l’autore, l’accelerazione tecnologica, che è sotto gli occhi di tutti, provoca e consolida anche un’accelerazione dei mutamenti sociali e dei ritmi di vita. La ragione per cui tutti tendono a correre (o pensano di star correndo), per non restare indietro, è legata al fatto che – senza che nessuno ce lo imponga – si avverte il dovere di competere e di mantenere alte le prestazioni. Rosa ritiene che la competizione sia il motore sociale dell’accelerazione, così come la promessa dell’eternità lo sia per la cultura. Perché una vita accelerata sarebbe fonte di alienazione? Perché essa disallinea i ritmi tra noi e le cose (e il mondo – ossia la realtà -), tra noi e gli altri e tra noi con noi stessi. Ne va non solo del rapporto tra produzione, acquisto e consumo (si produce più di quanto si possa consumare, creando sprechi, scarti e “falsi bisogni”), ma perfino dell’identità personale, che si ritrova sempre più costretta all’interno del riconoscimento sociale, a scapito dell’adesione agli ideali e valori scelti. L’accelerazione allora diventa una nuova forma di totalitarismo che produce malattie da desincronizzazione, e che agisce nel più completo anonimato, sotto le mentite spoglie di una condizione inevitabile e pure scelta liberamente. Queste poche maldestre righe di presentazione hanno il solo obiettivo di invitare alla lettura, dal momento che l’analisi e l’argomentazione in sé è non solo molto più ricca e profonda, ma anche piena di sfumature e riflessioni godibili sia dagli amanti del genere sociologico che del grande pubblico non specialistico. By the way, il libro non contiene ricette o soluzioni. Solo alla fine si accenna alla religione e all’arte come possibili percorsi salutari. Come non essere d’accordo?

 

Hartmut Rosa

Accelerazione e alienazione

Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità

Einaudi 2015 (anche in edizione ebook)

 

Cammin facendo

di Giancarlo Polenghi

Come tutti, per decreto, sono a casa, nel giorno di sabato 14 marzo 2020. E mettermi a scrivere una recensione, in queste circostanze, è per me ragione di distensione. Mi piace scrivere, e la leggera tensione causata dallo schermo bianco del computer è compensata dalla voglia di condividere qualcosa. Anche ora che non ho l’urgenza di parlare di una “nuova” scoperta di lettura.

Infatti, a differenza del solito, invece di parlare di una recente scoperta, questa volta scelgo un libro che ho letto per la prima volta 45 anni fa, precisamente il 28 marzo del 1975.

Mi ricordo con precisione la data perché in quel giorno cadeva il venerdì santo. Avevo da poco compiuto 15 anni e, approfittando delle vacanze di Pasqua, ero andato con altri due ragazzi di poco più grandi me a fare una gita in campagna. Siamo andati in treno, partendo la mattina presto dalla stazione Centrale di Milano e cambiando forse ad Arona o a Novara (non ricordo bene). Alla fine forse abbiamo preso addirittura un autobus, poi a piedi fino a ritrovarci in campagna in un posto collinare e abbastanza selvaggio, accanto a un cascinale perlopiù diroccato che formava un quadrilatero. Arrivati lì, ci siamo seduti sul prato a consumare i nostri panini sotto un sole primaverile che metteva di buon umore. Appena finita la colazione siamo scesi da un alto della collina fino ad un ruscello e allora, seduti sulle pietre vicine all’acqua che gorgogliava, al fresco dell’ombra, ho fatto la conoscenza di Cammino, il libro più famoso di San Josemaria Escrivà. Una conoscenza a dire il vero minima, perché nei 15 minuti che abbiamo passato lì saranno stati letti un decina di punti del libro, quasi tutti dal capitolo orazione e alcuni dal capitolo carattere. Ma quei punti erano bastati per suscitare la mia curiosità, tant’è che chiesi in prestito il libro nel viaggio di ritorno e prima di addormentarmi, in camera mia, mi immersi nella lettura fino a finire il libro. Per chi non conosce questa raccolta di pensieri spirituali, il libro è fatto di brevi frasi raccolte in capitoli tematici intorno ai temi della vita spirituale cristiana e delle virtù umane. Un libro giovane, non solo perché lo lessi da giovane, ma ancor più perché l’autore lo scrisse da giovane per dei giovani.

Successivamente Cammino l’ho letto e riletto molte volte. Per me è un po’ come un ritorno alle origini.

Un libro che si legge molte volte ti scava dentro, e fa bene, come fanno bene i punti fermi, quando tutto sembra che si muova. Un punto fermo dunque, ma anche libro per camminare, utile pure ora – nei tempi del coronavirus – in cui ci viene chiesto di stare fermi, a casa.

San Josemaria Escrivà del Balaguer

Cammino

Spagna. Madrid, 1932 (1° edizione)

Come in un diario intimo

(di Giancarlo Polenghi)

Il libro di Andrea Mardegan (Giuseppe e Maria, la nostra storia d’amore – con aquarelli di Anna Maria Trevisan-, Paoline 2019 16 euro) si deve leggere come se fosse un buon bicchiere di vino, a sorsi brevi, lasciandosi inebriare dalla poesia che incontra il mistero e la semplicità disarmante dell’incarnazione del Figlio.

I protagonisti, Maria e Giuseppe, intervengono a capitoli alterni con il loro flusso di pensieri e ricordi, e svelano quello che portano nel cuore. I riferimenti biblici, soprattutto dell’Antico Testamento per il vissuto interiore e del nuovo Testamento per i fatti che accadono agli interpreti, sono una sorta di mappa progettuale (un blueprint direbbero gli anglosassoni), o, meglio ancora, di ossatura di sostegno, che dà solidità e rigore all’impianto fresco e immediato della vita di Maria e Giuseppe. Una “coppia normale” innamorata, che cresce nella fiducia reciproca e nella consapevolezza, alquanto inaudita, di essere custodi del Creatore. Ovviamente Maria, in quanto madre e discepola, ha un ruolo tutto particolare, ma anche lei ha bisogno – e il libro lo mette bene in evidenza – di un uomo come Giuseppe che le stia accanto e a cui lei sa affidarsi.

La lettura di questo libro non può che piacere a chi ama la semplicità e la profondità insieme. Il lavoro di scrittura di Andrea Mardegan assomiglia a quello degli sceneggiatori dei film o,  ancor più, al lavoro dell’attore che vuole entrare nel personaggio da mettere in scena. Un lavoro che necessariamente si deve basare su ciò che il personaggio dice e fa (in questo caso il riferimento è al Vangelo), ma che per diventare davvero carne e spirito deve alimentarsi di motivazioni, stati d’animo, modi di essere unici che hanno a che fare con la propria (sia del personaggio che dell’attore) storia ed esperienza.  Quindi Mardegan, e qui c’è il suo coraggio di “infanzia spirituale”, ha provato ad entrare in Maria e in Giuseppe, e ovviamente lo ha fatto attraverso la contemplazione, quella forma di preghiera che permette di “vivere” le scene della Sacra Scrittura per meglio penetrarne tutta la forza e bellezza. Una lettura adatta a tutti i cristiani che vogliano vedere meglio, e anche molto utile per gli artisti, siano essi poeti, pittori, scrittori o scultori, che siano alla ricerca di uno stimolo, anche metodologico, per saper penetrare il mistero gioioso dell’incarnazione, e delle relative vicende umane e divine.

Andrea Mardegan

Giuseppe e Maria, la nostra storia d’amore

(aquarelli di Anna Maria Trevisan)

Paoline, 2019. 16 euro

 

Mani in relazione … per imparare a volare

di Giancarlo Polenghi

Due anni fa ho cominciato a scrivere, con ritmo quindicinale, recensioni di libri per il sito dell’Accademia dei Ponti. Con il passare del tempo le recensioni sono diventate uno strumento, quasi una scusa, per mettere in rilievo un’idea, una scoperta relativa a quel periodo.

Forse qualcuno si prenderà la briga di leggere il libro consigliato, dicevo tra me e me, ma anche se così non fosse, no problem, perché la lettura della “recensione” dovrebbe comunque, mi auguro, trasmettere qualcosa di utile o interessante.

Tra l’altro molti dei libri segnalati fanno riferimento ad argomenti che ciclicamente sono riproposti, quasi in una ricerca concentrica che si prolunga nel tempo.

I temi, a partire dalla mia prospettiva, sono stati:

  • capire i tempi di frammentazione e individualismo che il mondo e la Chiesa stanno vivendo oggi;
  • il super tema della relazione (e della comunione), in chiave spirituale, sociologica o psicologica, che è poi un modo concreto per rispondere alla crisi odierna;
  • la lezione dell’Oriente cristiano, che pure, in chiave personalista e mistica, aiuta a reagire.

Con questa premessa, passo ora al libro, alquanto inusuale, che propongo oggi. Si tratta di un libro di fotografie (130 pagine 95 fotografie) che certamente ha a che fare con i primi due temi di cui sopra, e probabilmente anche con il terzo.

L’autore è Giovanni Padroni, (La bellezza della prossimità, Pacini editore 2019) che racconta per immagini la relazione tra gli ospiti di alcune delle otto case di cura della Fondazione Casa Cardinale Maffi (che nel gergo della Fondazione sono chiamati Fratelli Preziosi), e di chi si prende cura di loro. Le foto colgono la relazione, un rapporto che alimenta la vita e dà senso ad essa, pure in situazione di estrema fragilità, come è quella nella quale si trovano i Fratelli Preziosi. Il volume è stato presentato all’interno di un meeting dal titolo “Ti insegnerò a volare” (che è poi una canzone di Roberto Vecchioni), pure in linea con i concetti della relazione per la cura, e in cui si afferma che imparare a volare e insegnare a volare, sono la stessa cosa.

In un video di 4 minuti, con interviste realizzate a margine del meeting, si può mettere a fuoco il tema, attraverso le parole di Giovanni Benotto, Laura Brizzi, Virginio Colmegna e Stefano Perfetti (video).

Un altro video, pieno di gioia e dinamismo, dice la stessa cosa grazie all’interpretazione musicale e alle immagini filmate degli operatori e dei Fratelli Preziosi della Fondazione (video).

Giovanni Padroni

La bellezza della prossimità

Pacini editore, 2019

La fede nel crocevia contemporaneo

(di Giancarlo Polenghi)

Pierangelo Sequeri è un teologo sempre stimolante. Talvolta la lettura delle sue opere richiede un certo impegno, ma quando, come nel volumetto che segnaliamo, si rivolge a un pubblico di non specialisti, in poche pagine si possono trovare idee e parole chiave davvero significative.

“La Qualità Spirituale, esperienza della fede nel crocevia contemporaneo” – PIEMME 2001, è un saggio sotto forma di intervista, di una novantina di pagine.

L’idea centrale è che per avere qualità nella vita cristiana si debbano mantenere uniti due filoni, o meglio, due approcci alla fede: quello dogmatico, intellettuale, dottrinale e gerarchico (rappresentato dal credo), e quello esperienziale, mistico, carismatico e contemplativo che si rifà all’incontro personale con Cristo. Secondo l’autore, a partire dalla riforma protestante, le due vie sono state proposte in contrapposizione mentre è necessario, e il Concilio Vaticano II ha operato in questo senso, che tornino ad essere due facce della stessa medaglia.

Un altro punto chiave è, secondo l’autore, l’esigenza di collocare la sequela di Cristo nel mondo, nella storia. Sequeri parla di “semina di forme elementari di vita cristiana nelle comuni condizioni di vita” e di una testimonianza attiva che si faccia di nuovo “itinerante” (e quindi vada incontro agli altri). È evidente che si richiama, pur senza citarla, la vita dei primi cristiani, laici, in tutto uguali agli altri, ma che vivono uno stile di vita diverso. Uno stile che consiste, dice il nostro autore, nella “disinvolta fedeltà alla regola evangelica … generando una giusta inquietudine intorno alla presunta normalità della vita”. La secolarizzazione, la visione mondana del mondo contemporaneo occidentale, legata alle tre concupiscenze, richiede una qualità spirituale cristocentrica, che si gioca nella relazione con Dio – vita interiore – e nella carità con il prossimo, a partire, con generosità, da quello che incontriamo all’interno delle forme della vita quotidiana. Più che la parrocchia, che ovviamente svolge un ruolo insostituibile di servizio, la sfida è nelle case, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro e di svago in cui i cristiani possono e debbono essere capaci di vivere come tutti ma con uno stile diverso, con uno sguardo diverso, capaci soprattutto di saper creare legami (relazioni) di comprensione, di carità e di senso.  Si tratta insomma di restituire anima (anima cristiana) alla vita necessariamente legata alle professioni e al lavoro, alle responsabilità sociali e alle cure educative, alle fedeltà necessarie e ai bisogni comuni, anche a quelli del riposo. In questo senso Sequeri, che pure riconosce l’importanza del volontariato, esorta a non abbandonare il mercato (l’economia), la cultura, la vita civile e i grandi temi dell’attualità. Si tratta infatti di non lasciarsi rinchiudere nel recinto delle opere caritative, mentre il mondo quello vero e professionale opera e governa con leggi differenti. Tutto ciò è da tener presente anche nella formazione dei giovani, che vanno stimolati a giocare la loro partita da cristiani nel mondo, senza complessi di inferiorità e con una profonda riflessività.

Il testo risale al 2001, e leggerlo oggi, esposti in modo più intenso ai problemi (e alle opportunità) della globalizzazione, dei fenomeni migratori, delle problematiche ambientali ed ecologiche, è di grande stimolo per una ricerca della qualità spirituale che sia all’altezza del momento.

Pierangelo Sequeri

La Qualità Spirituale.

L’esperienza della fede nel crocevia contemporaneo

PIEMME 2001