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Picasso e l’arte moderna, secondo Bulgakov e Berdjaev

(di Giancarlo Polenghi)

Nel 1915, a seguito di una visita alla galleria Scukin di Mosca, il giovane Sergej Bulgakov pubblica un saggio intitolato Il cadavere della bellezza, dedicato alle opere di Picasso che vi aveva visto esposte. Bulgakov, all’epoca in cui scrisse il saggio, era passato dall’ateismo marxista al cristianesimo ortodosso. Poi sarebbe diventato sacerdote e teologo. Nella sua conversione un ruolo particolare lo ebbe la Madonna Sistina di Raffaello (ora a Dresda, allora a Mosca) che a suo dire poteva essere considerata come un’icona occidentale, ossia un’immagine in cui la Vergine e il bambino, si manifestano e interpellano l’osservatore.

Ciò che colpisce nella lettura che Bulgakov fa di Picasso è la schiettezza, l’ammirazione ma anche un giudizio tra i più critici che si possano immaginare, di empietà e satanismo. Un altro saggio di pochi anni successivo (1918), del filosofo personalista russo Nikolaj A. Berdjaev, si intitola La crisi dell’arte e pur essendo di diverso tenore, mette a fuoco le avanguardie del periodo (il futurismo italiano soprattutto), con analoga forza, senza risparmiare parole dure come smaterializzazazione, disincarnazione della pittura,… passaggio dai corpi materiali ai corpi psichiciun mondo che si smaterializza e penetra nell’uomo, e l’uomo che ha perduto la sua stabilità spirituale, si dissolve in un mondo materiale liquefatto,… la crisi dell’arte che rappresenta la crisi della vita,… rottura definitiva e irreversibile con ogni classicismo. È curioso che molto prima di Bauman e di altri sociologi, Berdjaev parli profeticamente di mondo liquefatto.

I due saggi pubblicati insieme, e arricchiti da una postfazione di Marco Vallora (Sergej Bulgakov – Nikolaj A. Berdjaev, Il cadavere della bellezza/ La crisi dell’arte, Edizioni Medusa 2012, 13 euro) sono di grande stimolo per chi sia interessato al pensiero personalista russo.

Per Bulgakov le opere di Pablo Picasso che aveva visto da Scukin – e che occupavano un’intera sala – (tra le altre Donna con ventaglio; 1908, Dryad 1908, La regina Isabella 1909, Vecchio cieco e ragazzo, 1903, La bevitrice di assenzio 1902,), appartenenti al periodo cubista e a quello immediatamente precedente, creano un’atmosfera di mistica paura, che raggiunge il terrore. L’arte di Picasso, prosegue Bulgakov, anche se non può essere chiamata religiosa, è sicuramente la pittura del mistero e in qualche modo richiama l’icona. Per il teologo russo ciò che più è grave nell’arte dello spagnolo è la deformazione del femminile, ossia di ciò che è simbolo della generazione e della maternità. Specificamente riguardo le opere cubiste, afferma: l’opera di Picasso è il frutto di una possessione demoniaca. Da una parte il suo giudizio riconosce la grandezza dell’artista (dopo aver visto le opere di Picasso tutte le altre stanze – di artisti francesi dello stesso periodo – perdono d’interesse), dall’altra l’accusa è ferma: Picasso è il polo opposto all’Angelico, il primo presenta una bellezza mostruosa ispirate dalle forze del male, il secondo segue le forze del bene e l’umiltà. Secondo Bulgakov Picasso è terrorizzante perché è demoniacamente genuino e la sua arte risuona con quella dei personaggi più cupi di Dostoevskij (per esempio in Memorie dal sottosuolo). Un’arte che egli definisce come il cadavere della bellezza, un’arte disperata e mostruosa, ancorché onesta e per questo ancora più pericolosa. D’altra parte, alla fine del saggio, si difende (o se vogliamo si giustifica) anche quest’arte magica (Picasso era in effetti interessato all’arte dell’africa nera con i suoi riti e credenze) che come le chimères poste all’esterno di Notre Dame a Parigi, hanno un loro ruolo mistico – fuori della chiesa –. Per il teologo russo i dipinti di Picasso sono altrettante chimères sul tempio spirituale della modernità. È impossibile immaginare queste cose malefiche all’interno della cattedrale; vien da pensare che se i dipinti di Picasso fossero portati in una chiesa, essi sarebbero immediatamente bruciati e ridotti in cenere, come le chimères; eppure in virtù di qualche attrazione misteriosa questi spiriti immondi stanno sul tetto di una chiesa. È sorprendente anche che così tanti motivi nell’arte di Picasso risalgano agli idoli africani che i suoi antenati (Picasso secondo Bulgakov è metà spagnolo, metà francese, e metà moresco) possono aver adorato, perciò le sue chimere sono ieratiche nella loro stessa derivazione.

Alla fine del saggio un’altra domanda interessante ed enigmatica, Bulgakov si chiede: il maestoso portale della cattedrale di Parigi fu opera dello stesse architetto che creò le chimere o furono due uomini diversi? E conclude – come per dare spazio ad un Picasso che sappia anche fare altro –: la storia non ce lo dice…

Sergej Bulgakov – Nikolaj A. Berdjaev

Il cadavere della bellezza. La crisi dell’arte

Edizioni Medusa 2012, 13 euro

 

Santa Marta, il Papa e l’elogio della piccolezza

Conoscere nella relazione: l’artista è profeta di bellezza

(di Giancarlo Polenghi)

Ciò che mi ha spinto alla lettura del libro di Michelina Tenace (La bellezza, unità spirituale, Lipa 1994, 20 euro) è stato, in un primo momento, il titolo, che annunciava il tema della bellezza e dell’arte in chiave comunionale. Un tema che non sospettavo sarebbe stato svolto con taglio monografico presentando e indagando il pensiero estetico di Vladimir Sergeevič Solov’ëv. 

Non avendo dimestichezza con questo originale pensatore russo di fine Ottocento, ma avendolo sentito citare spesso sia dal teologo artista Marko Ivan Rupnik, che dal suo maestro Spidlik, la curiosità è aumentata nel corso della lettura.

Il lavoro di analisi dell’estetica di Solov’ëv della Tenace è prezioso perché calandolo nel peculiare contesto culturale dal quale è sorto, mettendo in luce il significato preciso di alcuni termini ambigui, coglie e “traduce”, per il lettore occidentale, l’originalità e la forza di un pensiero che unisce, al massimo livello, la fede cristiana, l’arte, e la redenzione del mondo.

Senza la pretesa di alcuna sistematicità, per la quale rimando ovviamente alla lettura libro, elenco di seguito alcuni dei concetti che maggiormente mi hanno colpito. 

La conoscenza per Solov’ëv non tocca solo la ragione perché necessita anche dell’intuizione, della visione e soprattutto della relazione. Egli afferma che tutte le facoltà dell’uomo (pensiero, sentimento, visione estetica, l’amore del cuore, la coscienza e il desiderio disinteressato di trovare la verità) devono unirsi per trovare ciò che è degno di essere chiamato verità. Quindi bisogna cercare “costantemente nel fondo della propria anima la radice interiore della comprensione, dove tutte le facoltà separate si riuniscono nella totalità viva di una visione spirituale”. Per questo, al di fuori dell’amore la conoscenza è impossibile, perché solo l’amore unisce il soggetto che conosce con l’oggetto conosciuto. Questo approccio, fa notare la Tenace, non squalifica le ragioni del razionalismo e dell’oggettività, ma le integra in una visione più equilibrata. A Solov’ëv, che entra in polemica con i positivisti del suo tempo, interessa una conoscenza che sia legata alla vita, e quindi critica la conoscenza astratta che sia esclusivamente teorica. L’ideale che lo anima è l’unione delle scienze positive con la religione e la filosofia. Insomma a lui interessa restaurare “l’unità interiore” per vivere la sapienza, e, in questa ricerca, la bellezza avrà un luogo centralissimo. 

Il primo passo sarà di unire la conoscenza corporale, psichica e spirituale. Ma a questa unità si dovrà aggiungere anche quella tra le storie individuali e quelle collettive, della storia e delle nazioni, per finire con una visione escatologica omnicomprensiva. 

La creatività per Solov’ëv ha due fondamenti, quello soggettivo del sentimento e quello oggettivo della bellezza. Per lui la forma perfetta della bellezza, e dell’arte, è la mistica (intesa come relazione tra creatura e Creatore) perché unisce la vita personale, anche sensibile, con la grazia di Dio che trasforma e divinizza.  La bellezza nella natura, dalla quale il nostro autore parte, ci permette di capire meglio: in essa la luce funziona come la grazia, e la materia come la vita umana. Il diamante è bello (materia illuminata) perché la materia colpita dalla luce rifulge e trasfigura, così nella vita dei veri artisti (luce incarnata), la vita divina trasforma quella umana, e anche nelle loro opere essa trasforma la materia salvandola e portandola al suo compimento.  Allora l’uomo, nell’arte, continua l’opera di incarnazione dell’idea cominciata nella natura da Dio e la porta al suo destino ultimo. La liturgia logicamente, e coerentemente con questa visione, diventa il luogo dell’arte per eccellenza. 

Solov’ëv critica due posizioni opposte dell’estetica moderna, l’arte per l’arte – ossia l’arte che non ha legame con nulla – che a suo avviso diventa un “puro gioco”, e l’arte utilitarista, che pure si accontenta di poco (funzioni d’uso, decorazione) perché a suo avviso l’arte è sì utile ma al massimo livello, ovvero per redimere il mondo. Infatti, per lui, l’arte e la religione appartengono allo steso livello di profondità. Per questo l’artista è un profeta ispirato che con il suo lavoro rivela il significato delle cose, le trasforma e le riporta a Dio.  

Michelina Tenace

La bellezza, unità spirituale

Lipa 1994

Come in un diario intimo

(di Giancarlo Polenghi)

Il libro di Andrea Mardegan (Giuseppe e Maria, la nostra storia d’amore – con aquarelli di Anna Maria Trevisan-, Paoline 2019 16 euro) si deve leggere come se fosse un buon bicchiere di vino, a sorsi brevi, lasciandosi inebriare dalla poesia che incontra il mistero e la semplicità disarmante dell’incarnazione del Figlio.

I protagonisti, Maria e Giuseppe, intervengono a capitoli alterni con il loro flusso di pensieri e ricordi, e svelano quello che portano nel cuore. I riferimenti biblici, soprattutto dell’Antico Testamento per il vissuto interiore e del nuovo Testamento per i fatti che accadono agli interpreti, sono una sorta di mappa progettuale (un blueprint direbbero gli anglosassoni), o, meglio ancora, di ossatura di sostegno, che dà solidità e rigore all’impianto fresco e immediato della vita di Maria e Giuseppe. Una “coppia normale” innamorata, che cresce nella fiducia reciproca e nella consapevolezza, alquanto inaudita, di essere custodi del Creatore. Ovviamente Maria, in quanto madre e discepola, ha un ruolo tutto particolare, ma anche lei ha bisogno – e il libro lo mette bene in evidenza – di un uomo come Giuseppe che le stia accanto e a cui lei sa affidarsi.

La lettura di questo libro non può che piacere a chi ama la semplicità e la profondità insieme. Il lavoro di scrittura di Andrea Mardegan assomiglia a quello degli sceneggiatori dei film o,  ancor più, al lavoro dell’attore che vuole entrare nel personaggio da mettere in scena. Un lavoro che necessariamente si deve basare su ciò che il personaggio dice e fa (in questo caso il riferimento è al Vangelo), ma che per diventare davvero carne e spirito deve alimentarsi di motivazioni, stati d’animo, modi di essere unici che hanno a che fare con la propria (sia del personaggio che dell’attore) storia ed esperienza.  Quindi Mardegan, e qui c’è il suo coraggio di “infanzia spirituale”, ha provato ad entrare in Maria e in Giuseppe, e ovviamente lo ha fatto attraverso la contemplazione, quella forma di preghiera che permette di “vivere” le scene della Sacra Scrittura per meglio penetrarne tutta la forza e bellezza. Una lettura adatta a tutti i cristiani che vogliano vedere meglio, e anche molto utile per gli artisti, siano essi poeti, pittori, scrittori o scultori, che siano alla ricerca di uno stimolo, anche metodologico, per saper penetrare il mistero gioioso dell’incarnazione, e delle relative vicende umane e divine.

Andrea Mardegan

Giuseppe e Maria, la nostra storia d’amore

(aquarelli di Anna Maria Trevisan)

Paoline, 2019. 16 euro

 

Due polmoni, per respirare meglio.

(di Giancarlo Polenghi)

Già san Giovanni Paolo II aveva molto insistito sulla necessità per noi occidentali di conoscere meglio la spiritualità orientale, e fu proprio lui a usare ripetutamente l’immagine dei due polmoni. Un’immagine certamente forte e che si commenta da sola. E Papa Francesco, dopo aver incontrato il Patriarca Ortodosso Bartolomeo in Turchia, tornava sul tema delle differenze riconciliate stimolando i cattolici ad attingere a una teologia ricchissima che più che contraddire la nostra tradizione la complementa. Per altro quando l’attuale pontefice mette in guardia contro il rischio della neognosi e del neopelagianesimo (mali che in un certo senso si respirano nella cultura postmoderna nella quale siamo immersi) pare evidente che un buon antidoto possa venir fornito proprio dalla spiritualità orientale. Così almeno si può intendere alla luce dell’interesse che diverse comunità religiose (per tutte citiamo il centro Aletti di Padre Rupnik e la Comunità di Bose di Enzo Bianchi) mostrano per questo approccio alla fede. In che cosa si differenziano la tradizione Occidentale e quella Orientale? Per averne un’idea suggeriamo la lettura di un piccolo volume di Raniero Cantalamessa dal titolo “Due Polmoni, un unico respiro” Edizioni Libreria Vaticana 2015. Il libro, che è in realtà una raccolta di omelie, ha una struttura molto semplice; le vie sono indagate a partire da quattro temi chiave: la Trinità, Cristo, lo Spirito Santo e la Salvezza. L’autore delinea con chiarezza le differenze di visione, e, con altrettanta chiarezza, mostra come i diversi punti di vista possano dare rilievo e profondità alla vista. D’altra parte il mistero e la grandezza di Dio non può mai essere esaurita del tutto, perciò l’autore mette in luce come gli orientali possano aiutare gli occidentali e viceversa. La consapevolezza che i due approcci toccano questioni di fondo, e non bizantinismi come si potrebbe superficialmente pensare, è cruciale e densa di conseguenze positive per la relazione con Dio e la preghiera, sia personale che liturgica. La Trinità, solo per fare un esempio, sembrerebbe essere meglio percepita dall’Oriente, che ne coglie la relazione interna, di comunione tra le persone, in modo più mistico e poetico, mentre noi occidentali siamo più portati a percepirla in chiave di economia della salvezza, ossia a partire da come ci è stata comunicata e come ci tocca, e questo ovviamente mantiene un grande interesse soprattutto in una chiave di prima evangelizzazione.

Insomma una lettura stimolante, che aiuta ad avvicinarsi ai Padri della Chiesa, che per i primi mille anni sono stati comuni, e a recuperare vitalità e respiro profondo.

Raniero Cantalamessa,

Due polmoni un unico respiro.

Oriente e Occidente di fronte ai grandi misteri della fede.

Libreria Editrice Vaticana, 2015

I semi teologici di Papa Francesco

(di Giancarlo Polenghi)

Una collana di “instant book” per mettere a fuoco le parole chiave dell’insegnamento di papa Francesco

 

I semi teologici di papa Francesco è la collana che le edizioni San Paolo dedicano alle parole chiave del magistero che stiamo vivendo. Libri tascabili, dal formato ridotto, spesso con meno di 150 pagine, che si possono leggere in poche ore, ma che, sorprendentemente sono ricchissimi di spunti.

I curatori sono due noti teologi italiani, Maurizio Gronchi e Pierangelo Sequeri, il primo insegna Cristologia all’Urbaniana, il secondo è il preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia e membro della Commissione Teologica Internazionale. Le parole prese in esame, da altrettanti competenti autori, sono nell’ordine: carne, misericordia, riforma, discernimento, neopelagianesimo, neognosticismo, vulnerabilità, armonia, integrazione, reciprocità e popolo. La premessa è che il magistero di papa Francesco sta letteralmente gettando dei semi attraverso i quali si propone al lettore una visione organica e feconda per ri-considerare e ri-vivere l’intero messaggio cristiano. Ovviamente i semi, che sono ben radicati nella tradizione ecclesiale, gettano una nuova luce sul tutto, ri-proponendo in modo fresco la novità antica del Vangelo. A giudicare dai due titoli con i quali ho cominciato la lettura, La carne, di Giovanni Cesare Pagazzi, e La reciprocità, di Massimo Naro, si evince che gli autori presentano, attraverso la parola scelta, il succo dell’insegnamento del pontefice. Il risultato è un testo interpretativo denso e originale, ben scandito ed efficace. Ovviamente si tratta di libri di divulgazione, non di testi scientifici. Ciònonostante gli scritti costituiscono un reale aiuto alla comprensione della contemporaneità e al modo con cui papa Francesco interpreta il suo ruolo di pastore della Chiesa universale. Gli autori, tutti studiosi di primo piano, presentano papa Francesco con libertà facendo risuonare la sua voce attraverso la loro competenza di teologi che sugli stessi temi hanno spesso già pubblicato. Il volumetto sulla carne (e sulla corporeità) si apre notando che da essa apprendiamo il bisogno di altro (e quindi anche dell’altro), ovvero essa è un modo molto concreto ed efficace per uscire da sé stessi e da una sorta di disumana onnipotenza (quella di chi non ha bisogno di chiedere nulla, come il bimbo nel ventre della madre). La carne pertanto come primo paradossale passo per la trascendenza. Si presenta poi la carne del Figlio, soffermandosi sui gesti e sulle mani, sempre alla ricerca dell’altro. Bellissimo il terzo capitolo sulla carezza e il con-tatto (tatto, contatto e presa – toccatemi), in cui si illustra la forza relazionale del tatto che, unico tra i sensi, permette di sentire e di sentirsi, un senso che è sempre attivo a differenza della vista o dell’udito, e che ha un grande ruolo nell’atto della fede, come nell’esercizio della stessa. L’ultimo capitolo, la conclusione, è dedicato alla logica della carne, dell’incarnazione e della resurrezione dei corpi. Notevole anche il volumetto sulla reciprocità (di Massimo Naro), organizzato in cinque capitoli, partendo dalle espressioni più frequenti sulla relazione in papa Francesco si rivolge poi alla Sacra Scrittura per concludere con una visione teologica che a partire dalla Trinità tocca tutta la creazione, l’antropologia, la famiglia e la relazione uomo-donna, la natura della Chiesa, la necessità urgente di saper passare dall’incontro all’amicizia, dalla fraternità alla comunione.

I semi teologici di Francesco

collana di 11 volumetti, a cura di Maurizio Gronchi e Pierangelo Sequeri,

edizioni San Paolo 2018