qualcuno mi ama dunque sono

Qualcuno mi ama, dunque sono

(di Giancarlo Polenghi)

La ragione che mi ha portato a imbattermi in Jean-Luc Marion è Fabrice Hadjadj. Quest’ultimo, amico di un amico, anch’esso filosofo e saggista francofono di fama, considera Marion tra i suoi maestri. Per la proprietà transitiva delle letture, ossia quella che considera i libri (e le amicizie, e i maestri, …) come le ciliegie (una tira l’altra), sono stato attratto da un titolo suggestivo di Marion: “Dialogo con l’amore”. Il testo è un’opera sui generis, interessante, ostica (per chi come me non è filosofo) e probabilmente foriera di altre letture dello stesso autore.

Il volume contiene la trascrizione di sei conferenze che Marion ha tenuto presso la Scuola di Alta Formazione Filosofica di Torino, davanti ad una trentina di giovani filosofi provenienti da diverse università italiane ed europee.

I sei densi interventi rappresentano il suo percorso di pensiero (oltre 50 anni) che così si snoda: la questione della metafisica; la donazione; il dono; l’impossibile o Dio; l’indefinibile o l’uomo; la questione dell’amore e la riduzione fenomenologica.

Marion ha studiato molto Cartesio, del quale rivaluta alcune affermazioni proprio nei confronti della metafisica (e della sua impossibilità), per passare poi a un approccio fenomenologico che lo porta a sviluppare una teoria della donazione e del dono come fondamento della realtà. Quest’ultimo tema, quello del dono, si collega, tra gli altri, con il pensiero sociologico di Pierpaolo Donati sui beni relazionali, che si fondano sulla gratuità.

Per il filosofo francese il dato percepito, ossia l’esperienza da cui nasce il pensiero, è un d(on)ato. Come tale è qualcosa che si riceve e che non dipende (se non in parte) dal soggetto che percepisce. Molto interessante l’osservazione secondo la quale il dono perde la sua identità nel momento in cui c’è una riduzione economica, quella del do ut des, ossia quella in cui c’è uno scambio e devono sempre essere presenti un donatore (chi dona), un donatario (chi riceve il dono) e un dono (l’oggetto donato). Secondo Marion, basta che uno dei tre elementi manchi (o sia sconosciuto), oppure che esso si possa definire in termini che non siano di scambio, per avere il dono vero, che ha una natura ultraeconomica. L’esempio che fa è quello della paternità, in cui il donante per essere tale deve eclissarsi (non essere sempre presente – come i buoni padri devono fare -), il figlio, o donatario, non è in grado di rendere quanto ha ricevuto (perché può dare la vita ad altri ma non al padre, e quindi è necessariamente un ingrato), e il dono della vita, che non è un oggetto, ma un evento, un accadere. Ciò che il padre dona al figlio in definitiva è il nome, ma si tratta di un dono simbolico, un d(on)ato, che serve per essere chiamati e quindi per rispondere (essere per rispondere).

Le due conferenze su Dio e l’uomo si richiamano e sono collegate perché l’infinito di Dio, ovvero la sua impossibilità (impossibile per l’uomo, possibile per Dio) richiama l’indefinibilità dell’uomo, la cui natura si può cogliere solo come immagine e somiglianza di Dio.

L’ultima conferenza, sulla riduzione erotica, argomenta come “io non sono nella misura in cui sono (anche grazie a me), ma sono in quanto amato (dunque dal di fuori). (…) Io sono nella misura in cui mi si vuole bene o male, nella misura in cui posso sentirmi accolto o non, amato o non, odiato o non.” Queste constatazioni portano l’autore a sostenere che si debba definitivamente elaborare il lutto dell’autonomia, una sorta di ossessione moderna, per scoprire il piacere di essere amabili (l’unica opzione, non definitiva, per stimolare l’amante) e di amare, ossia di diventare amanti perché è questo che supera l’essere, che resiste e rimane, in noi e negli altri.

Jean-Luc Marion

Dialogo con l’amore

Rosenberg & Sellers 2007