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La morte, ultimo tabù, tra orrore e speranza cristiana

(di Giancarlo Polenghi)

 

Nessuno vuol sentir parlare di morte perché averla di fronte è angosciante.

Secondo quanto mi spiegava anni fa un geriatra, anche chi per professione ha a che fare con essa, elabora strategie precise per affrontarla come in un rituale, facendo una serie di operazioni previste e quasi automatiche (le manovre e i controlli che permettono di stabilire il decesso avvenuto), per poi lasciare, appena possibile, la scena che manifesta la sua presenza, e rimuoverne il pensiero dalla propria testa.

Pensare alla morte (soprattutto alla propria) è insostenibile. E oggi ancor più che in passato. Lo si vede nel linguaggio, nelle abitudini, nella scaramanzia pagana. Nella sistematica e decisa rimozione. Ma essa, la morte, per quanto la si voglia negare, si presenta quando meno te lo aspetti e comunque con un’ineluttabilità totale.

Parrebbe ignori chi la vorrebbe incontrare e, di contro, appare di sorpresa a chi non ci pensava affatto.

Chi la vede, in sé o in altri, ha paura, terrore. Ecco perché stare accanto a un moribondo è inaudito. Le suore di Madre Tersa di Calcutta invece fanno a gara per accompagnare i moribondi (tra i malati di AIDS, negli slum delle periferie). Non sono le sole, ma di certo non trovano facili emuli, almeno in termini di passione specifica. Noi comuni mortali (ossia tutti o quasi), se possiamo, evitiamo. Anche quando si tratta della morte di cari e famigliari (e forse proprio per questo) la faccenda diventa complessa: alcuni fuggono, altri si fanno presenti, ma non per questo il compito diventa meno oneroso e sopportabile.

Il contatto con la morte, se c’è, non lascia indifferenti. “Chi muore giace, chi vive si dà pace”, certo, ma come e con quali strategie? E comunque, è sempre stato così? Il rapporto con la morte, nel tempo e nella storia, come si è evoluto (o involuto)?  E oggi, a che punto siamo?

Si potrebbe affermare che tanto più una società (o il singolo individuo) rimuove dalla sua prospettiva il pensiero della morte, e tanto più si allontana dal pensiero cristiano che con essa ha a che fare in modo radicale.

Non tanto perché il cristianesimo ami la morte, tutto il contrario, ma perché la strategia di sconfitta della morte nel cristianesimo passa dalla morte stessa, come dimostra la sua immagine simbolo, quella del crocifisso, ossia quella di un morto ammazzato, che così ha distrutto la morte, sottomettendosi ad essa.

Quest’ultima affermazione, ossia la crucialità della morte per il cristianesimo, può essere detta con maggiore fondamento leggendo La morte dipinta, arte e teologia delle cose ultime, (Gianni Cioli, Edizioni Dehoniane Bologna 2015). Il libro è un saggio di storia dell’arte che attraverso sei opere toscane databili tra l’inizio del tredicesimo secolo e la metà del quindicesimo, ci conducono a scoprire la forza e l’efficacia del pensiero cristiano sulla morte.

I mosaici del Battistero di Firenze, i pilastri del Duomo di Orvieto, l’Allegoria della Redenzione di Siena, attribuita ad Ambrogio Lorenzetti, l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, nel dittico di Bernardo Datti alla Galleria dell’Accademia a Firenze, la Vergine dell’Apocalisse di Giovanni del Biondo, nella Pinacoteca Vaticana, e la famosissima Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze, costituiscono un percorso eloquente di contemplazione del significato della morte in chiave cristiana.

Dipingere la morte significa ripercorre l’inizio della storia dell’umanità (il peccato di Adamo ed Eva introduce la morte), il punto focale e risolutivo della croce (trionfo della morte e insieme sua sconfitta, con la susseguente risurrezione) e la fine (il giudizio al termine del tempo, dove la morte scompare, e la vita splende nella beatitudine o nelle sofferenze eterne).

 

Altri temi sono:

  • il seno di Abramo, Isacco e Giacobbe, come figura del paradiso,
  • il timore e la speranza (si potrebbe dire l’incertezza e la possibilità di esiti differenti),
  • il peccato come origine e fondamento della morte (un peccato con cui comunque bisogna fare i conti),
  • la necessità di morire per risorgere (il seme piantato, il tralcio potato, il battesimo come tomba da cui rinascere risorti in Cristo),
  • il gusto per il macabro (più o meno spinto), e della morte transi (ossia della decomposizione dei cadaveri), come ricorso argomentativo, allegorico, retorico e mnemonico di potente efficacia,
  • il desiderio della buona morte nei santi, che fa da contrappunto alla disperazione della morte per i senza Dio.

Il saggio di Cioli, che si presenta soprattutto come un testo scientifico di storia dell’arte, va molto al di là del genere specifico, suggerendo percorsi di riflessione di rara profondità. Per esempio, aiuta chi è davanti ad un crocifisso, a vederne le implicazioni radicali relative al tema della morte e della vita, evitando la trappola così comune di una lettura edulcorata e priva di dramma (come direbbe von Balthasar).

Gianni Cioli

La morte dipinta, arte e teologia delle cose ultime.

Edizioni Dehoniane Bologna 2015

 

Resurrezione, l’inizio di un “con te” senza fine

La liturgia bizantina rende evidente come Cristo ci ha afferrati nel buio della morte e ci ha attratti a sé. Per sempre

Il Papa: le tre grazie da chiedere nella Settimana Santa

Francesco ha ricordato le tre preghiere di Gesù nei giorni della sua Passione e morte e ha esortato ad affidarsi come Lui all’amore del Padre

La fine e l’inizio

(di Giancarlo Polenghi)

Nell’imminenza della Settimana Santa, mentre, alle nostre latitudini, assistiamo con gioia alla rinascita primaverile, la segnalazione di un testo dedicato al mistero pasquale sembra inevitabile. Tra i tanti possibili ho scelto quello di Alexander Schmemann e Olivier Clément (Il Mistero Pasquale, Lipa 2003). Un testo breve di due teologi famosi scomparsi da non troppi anni: il primo estone, cresciuto in Francia e che ha vissuto negli Stati Uniti, il secondo è il più celebre teologo ortodosso francofono.

La struttura del volume segue da vicino le celebrazioni, dal sabato di Lazzaro (il giorno precedente alla Domenica delle Palme), alla veglia pasquale del sabato notte. Il commento è sobrio e profondo e ha la funzione di collegare dolcemente la bellezza e ricchezza delle letture, dei gesti, delle preghiere. Il consiglio è di immergersi nella grandezza della liturgia delle liturgie e di farsi accompagnare momento per momento in un tempo di contemplazione eterno.

Da un altro volume (che fa parte della serie “I semi teologici di Francesco”) dedicato alla vulnerabilità, trascrivo un testo che Mario Luzzi ha scritto per la via crucis al Colosseo dell’anno 1999. Le parole che il poeta immagine sono quelle di Cristo in dialogo con il Padre.

“Padre mio, mi sono affezionato alla terra
quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra.
Io ci sono nato quasi di nascosto,
ci sono cresciuto e fatto adulto
in un suo angolo quieto
tra gente povera, amabile ed esecrabile.
Mi sono affezionato alle sue strade,
mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti,
le vigne, e perfino i deserti.
È solo una stazione per il figlio Tuo la terra
ma ora mi addolora lasciarla
e perfino questi uomini e le loro occupazioni,
le loro case e i loro ricoveri
mi dà pena doverli abbandonare.
Il cuore umano è pieno di contraddizioni
ma neppure un istante mi sono allontanato da te.
Ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi
o avessi dimenticato di essere stato.
La vita sulla terra è dolorosa,
ma è anche gioiosa: mi sovvengono
i piccoli dell’uomo, gli alberi e gli animali.
Mancano oggi qui su questo poggio
che chiamano Calvario.
Congedarmi mi dà angoscia più del giusto.
sono stato troppo uomo tra gli uomini
oppure troppo poco?
Il terrestre l’ho fatto troppo mio
o l’ho rifuggito?
La nostalgia di te è stata continua e forte,
tra non molto saremo ricongiunti
nella sede eterna.”

Alexander Schmemann e Olivier Clément

Il Mistero Pasquale

Lipa, 2003

Preparazione alla Pasqua di Resurrezione

La Settimana Santa non può essere soltanto una parentesi sacra nel contesto di una vita guidata da interessi umani: è invece un’occasione per introdurci con maggiore profondità nel mistero dell’Amore di Dio e poterlo poi mostrare agli uomini con la parola e con l’esempio. (san Josemaria Escriva, “E’ Gesù che passa”).

Il ritiro spirituale di preparazione alla Pasqua si terrà Sabato 27 Marzo 2010.

Predica Mons. Paolo Ristori.

Interviene l’ing. Giuseppe Corigliano, direttore dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei in Italia.

Orario 9.15-12.00 con la Santa Messa.

Chiesa dei Santi Michele e Gaetano

Piazza degli Antinori, 1, Firenze

LETTERA DELL’ARCIVESCOVO ALLE FAMIGLIE IN OCCASIONE DELLA SANTA PASQUA

Carissimi fratelli e carissime sorelle nel Signore,

 

torno volentieri nelle vostre case in occasione della visita alle famiglie che le parrocchie svolgono di norma nei mesi che precedono la Pasqua e vi ringrazio per l’accoglienza che riservate a queste parole, scritte per crescere insieme come Chiesa fiorentina. Quest’anno prendo a tema la figura del sacerdote, seguendo l’indicazione del Papa Benedetto XVI, che da giugno 2009 a giugno 2010 ha voluto un ‘anno sacerdotale’, un anno dedicato a sostenere i sacerdoti nel loro ministero e a invitare tutti i fedeli a riscoprire l’importanza del sacerdozio nella Chiesa. Scrivo queste pagine guardando non solo alla dottrina ma facendo tesoro anche della mia esperienza di sacerdote. E le scrivo con fiducia, perché immagino che la maggior parte di voi abbia potuto sperimentare nella propria vita la vicinanza di un prete come un dono di grazia del Signore, orientamento e sostegno per la vostra vita. Nella vicinanza dei preti alla gente registriamo uno delle note più positive dell’esperienza di Chiesa nel nostro Paese.

Preti in risposta a una chiamata del Signore

A questo un prete giunge dopo un lungo cammino, che inizia con la generosa risposta a una chiamata che viene da Dio. Ed è nella famiglia che matura l’ascolto della voce del Signore che porta un ragazzo, un giovane a scoprire che proprio questo egli vuole da lui: farsi suo servitore come pastore del popolo di Dio. Il prete non si pone tra la gente come un qualsiasi leader di un gruppo, né si sceglie da solo questo ruolo nella vita, come fosse un mestiere qualsiasi: preti si diventa per chiamata di Dio, in risposta a un suo disegno, a una sua vocazione. Che la vita sia risposta a una vocazione vale certamente per ogni persona; anche il matrimonio è frutto di un progetto di Dio sulla vita di un uomo e di una donna; la stessa attività lavorativa, in quanto collaborazione all’opera creatrice di Dio, dovrebbe poter corrispondere a una specifica inclinazione, mediante la quale ciascuno trova il posto che Dio gli ha affidato nel mondo. […]

continua a leggere QUI la lettera dell’Arcivescovo alle famiglie