mediazione umanistica

L’armonia che nasce dai contrari

(di Giancarlo Polenghi)

Il saggio di Jacqueline Morineau, “La mediazione umanistica” (Erikson 2018) è un libro semplice, chiaro e potente. Frutto di oltre trent’anni di mediazione in ogni ambito, dal penale al civile, al familiare, il volume spiega che cosa è la mediazione umanistica e come funziona. Leggerlo dopo aver partecipato a 2 giorni di seminario con la stessa Morineau, che di questo metodo è l’ideatrice, è una condizione felice.

Il libro assomiglia alla sua autrice: una donna minuta, con lo sguardo vivo e una grande capacità di ascolto. Una personalità forte e armonica, riflessiva, tutt’altro che cerebrale, accogliente, immediata, gentile. Si vede subito che ciò che è scritto nel libro e insegna nei seminari, è ciò che vive. Il suo approccio alla mediazione punta a stimolare un nuovo sguardo sull’avvenire, ad aprire una porta sul futuro. Per fare questo offre spazio di ascolto al grido interiore che ogni conflitto porta con sé, il grido causato da ferite profonde. Questa fase della mediazione, che è la più lunga in termini di tempo, è denominata crisis e segue l’introduzione in cui i due medianti (ossia le parti in conflitto) illustrano il loro problema. Per aiutare i medianti a togliersi la maschera, ossia a dire la loro verità per intero, i mediatori (che agiscono sempre in gruppo, da 2 a 5) svolgono la funzione di specchio. Dicono quello che sentono, a livello emotivo, in modo graduale e accompagnando un percorso di approfondimento.  Per esempio a fronte di un racconto che parli di un conflitto estenuante si può dire: “Io sento: stanchezza”, e con questo piccolo aiuto esterno si può verificare se l’uno o l’altro, o entrambi, dicano di più e vadano più a fondo. I mediatori ascoltano, non giudicano, entrano in empatia con la sofferenza per permettere ad essa di uscire allo scoperto. L’ultima fase della mediazione consiste nel riconoscere un nuovo qui e ora che emerge dalla consapevolezza dei vissuti emersi. Se i medianti hanno davvero parlato e ascoltato può nascere un nuovo sguardo. Come la tragedia greca, la mediazione umanistica, si svolge in tre atti: introduzione, crisis, catarsi. Jacqueline Morineau sostiene che la mediazione umanistica è scavare dentro l’anima e che la cosa più importante in essa è il cammino che si può fare insieme. Infatti il cambiamento avviene sia tra i medianti che tra i mediatori, che imparano a conoscere meglio sé stessi. L’ambizione è saper entrare in contatto con il corpo, con l’anima e con lo spirito, in un viaggio di verità, bontà e bellezza. Una difficoltà per i mediatori è saper ascoltare in modo vero e profondo, senza giudicare e farsi condizionare dalle proprie categorie mentali e dal ragionamento. Gli studi pregressi in psicologia o sociologia o filosofia o legge possono essere un impedimento all’ascolto, e costituire una sorta di rumore assordante che impedisce di sentire. Jacqueline ha spesso fatto riferimento alla necessità di sentire con il cuore, tagliando la testa. Nella mediazione umanistica non c’è nulla da capire, ha detto, bisogna solo essere. In altre parole passare dalla rappresentazione alla relazione. Per questo essa non è una tecnica ma un cammino per un’umanizzazione reciproca.

Jacqueline Morineau. La mediazione umanistica.

Un altro sguardo sull’avvenire: dalla violenza alla pace.

Erikson Saggi Sociali, 2018